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educatore sessuale sexological bodywork

Il sesso si impara

Klaus ha compiuto 50 anni da poco: possiede una bella macchina, una casa grande e un lavoro di successo.

Da 30 anni condivide tutto con Anne, conosciuta all’università e sposata in una calda giornata di luglio.

Si amano e sono inseparabili, ma c’è un grosso muro che li divide, un tabù talmente ingombrante da rendere la loro vita sessuale quasi impraticabile: l’eiaculazione precoce.

Anne, frustrata e avvilita da un’intimità così poco appagante, ha convinto suo marito a rivolgersi a un esperto.

Non un sessuologo, non uno psichiatra, né un analista: un educatore sessuale, una guida del sesso.

Educare, in latino, significa tirare fuori e condurre: questo precettore del sesso ha portato Klaus a identificare i propri blocchi, a riconoscere le paure e a rimuovere ogni pressione.

Una figura ibrida, a metà tra il terapista e il massaggiatore, quella dell’educatore sessuale è una professione nuova e ancora poco conosciuta.

La disciplina si chiama Sexological Bodywork (lavoro sul corpo – una sorta di massaggio, ndr) ed è nata all’inizio degli Anni 2000 in California: figlia di una mescolanza di dottrine, le sue radici sono da ricercare nelle culture del Tantra e del Taoismo e nei movimenti degli Anni ’60 e ’70.

Il lavoro dell’educatore sessuale è molto complesso e per comprendere come si aiuta una persona che si reca da questo tutore della sessualità, ci siamo rivolti direttamente a uno di loro: si chiama Didi Liebold e lavora in Svizzera.

DOMANDA: Che cos’è un educatore sessuale?

RISPOSTA: Per prima cosa credo sia fondamentale chiarire il nome tecnico: la professione certificata dalla Stato della California è chiamata Sexological Bodywork, anche se viene utilizzato spesso anche Somatic Sex Educator. Educatore sessuale è un termine molto generico che di solito descrive persone che lavorano con gli adolescenti e i ragazzi nelle scuole. L’educazione sessuale per adulti è un’idea abbastanza nuova e la parte ‘somatica’ lo è ancora di più.

D: Quindi la vostra è una sorta di educazione sessuale?

R: Finora l’educazione sessuale rispondeva a metodi cognitivi, ma la sessualità non riguarda soltanto la mente. La connessione corpo-cervello è determinante: spesso noi ci chiediamo come imparano la sessualità le persone. L’insegnamento somatico si basa sul principio che l’educazione debba avvenire attraverso l’esperienza, che ognuno di noi fa con tutto il proprio essere e con tutti i nostri sensi.

D: Cosa si intende per insegnamento somatico?

R: È una chiave per legare insieme corpo e mente. Unire l’apprendimento all’esperienza è, secondo noi, molto più efficace e di lunga durata rispetto a un apprendimento unicamente teorico. Ma questo processo ha bisogno di tempo, quindi se vogliamo migliorare nel sesso abbiamo bisogno di esercitarci. Come per qualsiasi altra cosa. Molte persone praticano sesso e masturbazione con regolarità senza consapevolezza.

D: Che cosa insegnate a chi viene da voi?

R: Nell’apprendimento somatico è la persona a decidere ciò che vuole imparare, quindi la nostra non corrisponde alla figura di un insegnante che ti indica che cosa dovresti imparare. Noi sosteniamo le persone nel loro apprendimento, ma a decidere sono loro.

D: In che modo li sostenete?

R: Parlando con loro e facendo coaching, ovvero trasferendo la conoscenza. Contano molto anche le esperienze fisiche, ovviamente: respirazione, meditazione, un’attenta masturbazione, il tocco e i massaggi. È la combinazione di conversazione e massaggi a rendere il Sexological Bodywork così efficace: è in grado di dare alle persone uno strumento che poi possono utilizzare da sole. Il nostro lavoro non consiste nel curare le persone.

D: Chi fu il primo educatore?

R: Il fondatore del Sexological Bodywork è Joseph Kramer, che è anche il principale insegnante di ‘massaggio erotico’ al mondo. Nel 1984 avviò The Body Electric School in California, dove ha formato migliaia di professionisti, terapisti erotici, bodyworkers e somatic educators.

D: A chi si ispira un Sexological bodyworker?

R: Questo è piuttosto personale, dipende molto da chi pratica la disciplina. Io, ad esempio, mi sono ispirato ad alcuni grandi insegnanti e pionieri nel campo della sessuologia e delle terapie umanistiche, ma anche a personalità che hanno combattuto per la libertà e l’uguaglianza. Lavorare con la sessualità significa avere a che fare con la società, o come ha scritto Shereen el Feki (l’autore di Sex and the citadel, ndr): «Se vuoi capire una società, inizia a guardare dentro le camere da letto».

D: Che cos’è per lei la sessualità?

R: È un processo che si impara, che ha bisogno di tempo e di tanto esercizio. Praticarlo non significa solo farlo: se solo facendolo il sesso ci migliorasse, in giro ci sarebbero molte persone davvero esperte.

D: Come funziona una sessione di sexological bodywork?

R: Dura circa tre ore. Parte della seduta comprende un talking (una conversazione, ndr), momento in cui la persona ci chiede che cosa vorrebbe imparare, ci spiega quali sono le sue convinzioni riguardo al sesso e come vive la sua intimità. Noi tendiamo a concentrarci molto sulle loro risorse. Di solito chiediamo qual è stata la loro esperienza sessuale migliore di sempre: identificando il motivo per cui quell’episodio è stato così eccezionale, sviluppiamo un quadro di come le persone vivono la loro sessualità.

D: Poi che cosa accade?

R: La seconda parte della seduta è principalmente bodywork (lavoro sul corpo, ndr), dove usiamo metodi differenti che possono includere anche tocco genitale e anale. Lavoriamo anche con l’eccitazione se questo serve a raggiungere l’obiettivo dell’apprendimento. Di solito tutto termina con una riflessione sulla sessione e su quanto appreso.

D: Chi è il paziente tipo di un Sexological bodyworker?

R: La gamma di persone è molto vasta: dai 20 agli 80 anni, uomini e donne, di tutti gli orientamenti.

D: Chi sceglie di ricorrere a una figura come la vostra?

R: Tendenzialmente due gruppi di persone: coloro che magari vogliono risolvere un problema e altri che invece vorrebbero ampliare la loro conoscenza. Chi viene per risolvere un problema, di solito, affronta temi più classici che ruotano attorno all’orbita della sessualità: orgasmo, erezione, eiaculazione.

D: La vostra professione è riconosciuta dappertutto?

R: Molto sta cambiando in questo senso: naturalmente, quando qualcosa è nuovo è visto sempre con un po’ di diffidenza. La sessualità è un regno molto privato, con moltissimi tabù e altrettante emozioni. Le persone però che lo hanno sperimentato vedono il potenziale del nostro mestiere. Eppure, sono ancora in molti quelli che non si vogliono aprire e non saranno mai d’accordo con il nostro tipo di approccio.

D: Perché il vostro mestiere è ancora così poco conosciuto, nel 2016?

R: Penso che sia a causa del fatto che la nostra è una professione molto nuova. L’educazione sessuale, in generale, vide una crescita solo dopo la crisi dell’HIV, negli Anni ’80. L’idea che il sesso possa essere appreso o addirittura debba essere imparato è ancora un’idea molto inedita. Viviamo in un mondo in cui le nozioni che riguardano il sesso non arrivano né dai genitori, né dalla scuola e quando poi qualcosa non funziona come dovrebbe, tutti sentono il bisogno di andare in terapia per curarsi.

D: Che titolo di studio è necessario?

R: C’è una formazione di base in Sexological Bodywork, ma per lavorare professionalmente sono necessari altri corsi.

D: Quanto guadagna un educatore?

R: Dipende molto dal Paese in cui si esercita la professione. Penso sia difficile dare numeri concreti. Una cosa è certa: le persone che fanno questo mestiere non diventano ricche. Per esempio, in Svizzera una sessione standard di tre ore costa circa 330 euro; il prezzo di una seduta di qualsiasi terapia è di circa 600 euro, per tre ore. Il motivo per cui la nostra tariffa è così bassa sta nel fatto che i nostri clienti la seduta la devono pagare da soli, perché non è coperta dall’assicurazione sanitaria. E noi non ci occupiamo solo di clienti ricchi e facoltosi. Facciamo anche prezzi speciali per i meno abbienti.

D: In quali Paesi viene esercitata la vostra professione?

R: L’origine è in California, ma la disciplina è stata poi portata in Svizzera e da allora si è contribuito ad avviarla anche in altri Paesi come la Germania, la Spagna, il Regno Unito e l’Australia. La crescita negli ultimi dieci anni è stata immensa e sono sicuro che cambierà ancora di più in futuro.

D: Una seduta da voi può considerarsi una cura a tutti gli effetti?

R: Dipende da che cosa si intende per cura, questo varia da un Paese all’altro ed è difficile tracciare una linea netta. In Svizzera ‘la terapia’ viene utilizzata quando vi è un vero e proprio disturbo medico. Nel campo della sessualità dovrebbe contare il 10-15% dei problemi. Per prima cosa bisogna definire il temine problema medico: quando c’è bisogno di una cura, allora l’educatore non può aiutare la persona e deve indirizzarla altrove. Tuttavia, se vediamo la terapia come sviluppo personale che aiuta le persone a crescere, allora non c’è alcuna differenza.

D: Anche un paziente che ha subito una violenza sessuale può rivolgersi a voi?

R: Noi non siamo terapisti specializzati nella cura del trauma, anche se siamo informati su questo genere di cose. Se qualcuno volesse lavorare in modo specifico su un trauma subito, noi non saremmo la figura giusta e nemmeno il posto ideale dove venire. Soltanto se il professionista ha una competenza e una formazione specifica sulla guarigione dal trauma può aiutare una persona che ha subito una violenza.

D: Ha aiutato molti pazienti a ritrovare l’armonia tra le lenzuola. Si ricorda un episodio che l’ha colpita?

R: Venne da me un uomo di mezza età, sposato da decenni. Il suo problema, da sempre, era l’eiaculazione precoce. La coppia, dopo averne parlato e aver partecipato a laboratori di massaggio tantrico aveva deciso di rivolgersi a me. Parlammo della sua sessualità e della sua ‘velocità’. La sua è una storia molto comune: iniziava un rapporto con la moglie e raggiungeva immediatamente l’orgasmo. Una forte influenza religiosa non gli offriva poi una visione positiva dell’atto sessuale: per lui, infatti, non fu immediato collegare il sesso con il piacere, non riusciva a rilassarsi e a divertirsi quando faceva sesso perché entrambe le cose non facevano parte della sua esperienza pregressa. Nella prima sessione facemmo un massaggio e notai immediatamente che c’era contrazione nel corpo e nessun rilassamento, così abbiamo lavorato su questo. Includemmo un contatto genitale e con strumenti come la respirazione, il movimento, l’emissione di suoni, l’uomo non raggiunse l’orgasmo per ben 45 minuti. Lavorammo a cinque sessioni di questo genere e riuscimmo a capire che la sua concezione di orgasmo era strettamente collegata a un sentimento di vergogna. Abbiamo lavorato sulla sua visione di sessualità e gli abbiamo assegnato dei compiti a casa, tra cui una masturbazione attenta e consapevole. Tornò da noi con un grande sorriso: aveva avuto un rapporto con la moglie per quasi un’ora.