pizza a domicilio e sesso con il fattorino

Peccati di gola

Cioè, capite, lui mi ha lasciato.

Al telefono. Lui, che io ho raccolto e nessuna lo voleva.

Magrolino, bruttarello, con gli occhiali: mi faceva tenerezza.

Sempre ingobbito sui libri in biblioteca, sempre ingobbito per strada, senza nemmeno i libri.

Sono io che gli ho rivolto la parola, sono io che gli ho dato il primo bacio, io che l’ho sbattuto al muro e lui ha fatto quella faccia da provolone che chiunque altra avrebbe preso e se ne sarebbe andata.

Ora lui mi lascia, proprio lui che io ho cresciuto, gli ho dato autostima, l’ho fatto sentire orgoglioso per strada quando la gente si girava e diceva «anvedi che gran figa gira con quello», «o c’ha i soldi o c’ha una fava gigante».

Ma – vi assicuro – non c’aveva né i soldi né la fava.

E perché te lo sei preso?, direte voi. Perché m’ero innamorata. Semplicemente per questo.

Sì, io mi ero innamorata di quel catorcio senza fava e senza soldi, bruttarello. L

ui no: diceva di essere perso per me, se ne moriva se mi vedeva nuda, mi desiderava che gli veniva subito duro nei pantaloni, ma solo perché sapeva che non ero una che si poteva permettere, appartenevo a un’altra categoria: e invece io gli ho fatto capire che si poteva permettere anche me.

E ora che gli ho dato autostima, ora spicca il volo, bastardo: si sarà innamorato di qualche palliduccia, di qualche intellettualina come lui, un po’ timida, che legge molti libri.

Magari scopa pure bene, non dico di no – che quelle non hanno mai scopato e stanno allupate verso i trent’anni -, magari c’ha le tette grosse.

Ma io non gli do soddisfazione: non mi vedrà versare nemmeno una lacrima. Gli ho detto: «va bene».

Questo solo gli ho detto. «Io… veramente… cioè non so più… tu sei perfetta ma…».

«Va bene», gli ho detto. «Ho capito. Addio».

E ho chiuso il telefono. Poi lui mi ha chiamato molte volte e io non ho risposto.

Mi ha mandato i messaggi e non li ho neanche letti.

Ha provato a chiamarmi anche mentre ordinavo la pizza su Deliveroo.

Non mi andava di cucinare: sono pur sempre stata lasciata.

Lui, per fortuna, ha capito e ha smesso di cercarmi: le telefonate si sono fatte più rade, così come i messaggi, finché sono cessate.

Un po’ mi è dispiaciuto, devo ammetterlo: fare l’indifferente mi dava forza, dava un senso a quel momento che altrimenti sarebbe stato di dolore.

Intanto, per non annoiarmi, ho seguito l’omino di Deliveroo sull’applicazione: potevo vedere a che punto fosse del percorso.

L’ho visto zigzagare sul Lungotevere e poi rallentare sulla salitona prima di casa mia: potevo quasi perceperine la fatica anche se era solo un punto sulla mappa.

Sarebbe arrivato sicuramente sudato, tutti i pizza boy arrivano sudati dopo quella salita a casa mia.

Chissà, mi sono ritrovata a pensare, chissà com’è questo tipo: se è alto e muscoloso, oppure taurino, se è audace o un timido. Sicuramente sarà sudato e a me il sudore, da leccare, piace.

Eccolo, quasi vicino casa mia. Una spruzzata di profumo – non si sa mai.

Suona alla porta, corro ad aprirgli. Sono in tenuta da casa, una felpa molto larga, che lascia scoperte le spalle. A

nzi, di proposito faccio cadere la spallina, così vede le mie belle spalle ben formate e abbronzate.

Mi spettino i capelli. Apro la porta.

Lui è lì: spaesato di ritrovarsi una gran figa come me; magari si aspettava uno studentello; o una vecchia; invece ha trovato me.

E lui: lui è allampanato, sottile, smarrito, con gli occhi grandi, intimoriti.

Non è brutto: è come quel cretino che mi ha lasciato.

È come i tipi che piacciono a me e che assomigliano sempre al gattino della pubblicità Barilla.

Mi piacciono perché me li mangio in un morso.

«Aspetta, ti do la mancia. Che su Deliveroo non voglio darla, perché magari te la tassano anche».

«Vero».

«Vieni entra, cerco un attimo nella borsa».

«Posso?».

«Sì sì, entra entra».

Il pizza boy entra, spaesato, si guarda attorno: si chiede come mai io sia così disponibile.

Guarda casa per capire chi sono, ma non capisce granché. Capisce solo che sono un gran figa.

E io ci gioco. Mi piego nella borsa e metto il culo in fuori, per farglielo vedere.

E so che lui lo guarda. Me li sento i suoi occhi addosso, le sue voglie timide e impaurite.

«Ma tu hai cenato stasera?».

Lui mi guarda stralunato.

«Magari dopo… in pizzeria».

«Che tristezza… in pizzeria».

Non finisco nemmeno di cercare davvero, che gli dico:

«Sai che non ho monete?».

Lui solleva le spalle: «Ah, non importa». Non è dispiaciuto, anzi è sollevato forse di potersi finalmente congedare.

Questa situazione lo mette in soggezione: non è abituato ad avere a che fare con donne così facili. E fighe.

«Almeno un bicchiere di birra?».

Non finisco nemmeno di dirlo che infilo una mano in frigo e ne stappo una e poi un’altra, per lui.

«Alla salute».

Lui prova debolmente a protestare. «Ma…».

Gliela passo ma sono brusca e gliela rovescio addosso, sulla divisa verdemare, sui pantaloni.

«Cazzo!», gli dico andandogli subito addosso con lo scottex. «Mi dispiace».

«Non… non… importa».

«Aspetta, ti asciugo».

«Non fa niente».

«Ma non puoi presentarti in un’altra casa così».

«Guarda qui, anche i pantaloni. Levateli».

«Co… co… come?».

«Che timido che sei. Va bene, ti passo almeno lo scottex».

Mi inginocchio e, con la mano foderata di scottex, gli tocco il pacco.

Lo passo e lo ripasso, sento la consistenza che cambia sotto la mano.

In pratica, gli diventa duro al mio contatto. Ve l’ho detto: ci so fare.

«Dai, così non si asciuga niente. Levatelo».

Ancora una volta non gli do il tempo, gli sbottono i pantaloni e glieli abbasso.

Le mutande sono zeppe di birra, hanno odore di malto.

Gliele abbasso, senza ormai dirgli più niente. Ha un pene discreto, con una bella erezione.

Lo guardo, sorrido: e con quel sorriso gli ho detto tutto.

Tutto quello che lui doveva sapere.

«Ma ho lasciato la porta aperta…».

Non finisce nememno di dire “aperta” che glielo prendo in bocca, tutto.

Fino alla base. E glielo avvolgo – ricopro – con le pareti della mia bocca calda.

Diventa sempre più duro, più grande, tanto che faccio fatica a tenerlo tutto.

Allora mi soffermo sul glande, glielo lecco, infilo la punta della lingua nel buco – è già salato, si sta bagnando.

Si gonfia, perché sono brava, perché come so fare i pompini io non li sa fare nessuna.

Gli tengo le natiche con le mani, per spingerlo di più a me, o per tenerlo fermo, non so.

Ma so che gli piace. Soprattutto perché gli stimolo anche l’ano – infilo furbescamente le dita là in mezzo.

E lui inizia a mugugnare: che gliel’avrebbe mai detto che la mancia di questa consegna sarebbe stata così ricca?

Ma poi, ecco: ecco che il mio piano perfetto si sta per realizzare.

Sono stata brava – come sempre – ho calcolato bene i tempi. Sento i passi, i suoi passi, oltre la porta.

I passi di quello scemo del mio ex-fidanzato. Lo sapevo che sarebbe corso qui, lo sapevo che, non rispondendogli, si sarebbe cacato addosso.

Ed eccolo. Non lo vedo, ma lo sento.

Non la vedo, ma immagino la sua faccia. La faccia attonita, sgomenta: io che faccio un pompino al pizza boy di Deliveroo nemmeno un paio d’ore dopo che mi ha lasciato.

Lo so che è distrutto, lo so che è a pezzi e, come una bravissima attrice, accentuo il mio godimento mentre prendo il cazzo del tipo in bocca proprio quando lui mi guarda.

Solo una volta lo guardo.

Mi stacco dal pene del tipo – faccio rumore, come quando si stappa una bottiglia di vino, lo faccio di proposito, per farlo soffrire di più – e sorrido al mio ex.

È il sorriso della mia vendetta.